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venerdì 28 giugno 2019

I PRIMI PASSI VERSO L'ABOLIZIONE DEI MANICOMI

L'ANTIPSICHIATRIA
Negli anni Sessanta, all'interno della stessa tradizione psichiatrica, nasce un nuovo movimento: l'antipsichiatria che rappresentava una vera e propria critica alla medicalizzazione della malattia mentale e aveva come fine quello di rivedere le tradizionali forme di trattamento dei pazienti psichici e proporre nuovi approcci e soluzioni innovative.
Gli esponenti principali di questo movimento furono lo scozzese Ronald Laing e il sudafricano David Cooper, e fu ispirato dal saggio dello psichiatra statunitense Thomas Szasz: "Il mito della malattia mentale", in cui la psichiatria viene descritta come un semplice sistema di controllo sociale, che ostacola la reale comprensione dei soggetti con disagio mentale. 
In Italia l'impulso al cambiamento viene dato da un giovane medico: Franco Basaglia (non era un antipsichiatra) Il tradizionale rapporto che sosteneva con forza l'idea che il malato mentale internato, estromesso cioè dalla propria vita relazionale e sociale, finisce sempre per perdere la propria dignità di essere umano. 

FRANCO BASAGLIA
Franco Basaglia nasce a Venezia l'11 Marzo 1924. Egli ha conseguito all'Università di Padova la laurea in medicina e successivamente la specializzazione in psichiatria. Nello stesso anno della sua specializzazione (1953) sposa Franca Ongaro, che gli darà due figli e sarà coautrice con il marito di alcune opere sulla psichiatria.
Nel 1958 ottiene la libera docenza in psichiatria.
Fu lui il promotore della Legge n 180 del 1978 (Legge Basaglia)

Franco Basaglia

Franco Basaglia e la moglie
Franca Ongaro
Nel 1961 Franco Basaglia prese possesso del manicomio di Gorizia e iniziò una politica di graduale liberazione dei malati di mente che fino a quel momento erano tenuti come in prigione. Infatti, la legge del 1904 prevede che l'ospedale psichiatrico (il manicomio) non sia una struttura di assistenza ma una struttura in grado di mantenere l'ordine pubblico attraverso la segregazione dei soggetti definiti "pericolosi". Gorizia divenne quindi un luogo di esperimento rivoluzionario: Basaglia, con l'aiuto di psichiatri, infermieri e intellettuali, attua infatti, per la prima volta, un modello che la psichiatria propone: quello inglese della comunità terapeutica.
Il tradizionale rapporto gerarchico tra medico e paziente viene scardinato, sono abolite le pratiche mediche più violenti, vengono organizzate assemblee tra malati e personale sanitario e vengono programmate gite, laboratori, incontri con parenti...
Nel 1971 si trova a dirigere un altro ospedale psichiatrico Trieste. Qui Basaglia non cerca solo di introdurre la forma di vita comunitaria sperimentata a Gorizia ma vuole arrivare ala chiusura definitiva del manicomio.
Basaglia annuncia nel Gennaio del 1977  che l'ospedale psichiatrico di Trieste sarà chiuso entro un anno. In verità ci volle più tempo perché la struttura aveva tenuto i pazienti che già stavano lì ma hanno soltanto iniziato a non accettare più nuovi pazienti (questo rappresenta un primo passo verso l'abolizione dei manicomi). Il manicomio di Trieste venne quindi chiuso definitivamente nel 1980.
Basaglia ha come obiettivo quello di obbligare la società ad accogliere il folle così organizza conferenze stampa, assemblee pubbliche, spettacoli; così facendo il medio prevedeva di dare al soggetto che soffre una risposta alternativa alla violenza utilizzata nei manicomi.
Nel 1968 Franco Basaglia era un simbolo importante, in questo stesso anno venne pubblicato il suo libro "L'istituzione negata" in cui scrive che le fabbriche, gli ospedali, le scuole e le università sono istituzioni in cui vi è un esercizio di potere, istituzioni che devono quindi essere rivoluzionate.

mercoledì 26 giugno 2019

ALDA MERINI E L'ESPERIENZA IN MANICOMIO

"Si va in manicomio per imparare a morire"                                                     (Alda Merini) 

 Alda Merini fu una poetessa 
che nacque a Milano il 21 Marzo 1931 da Nemo Merini (figlio di un conte damasco) ed Emilia Painelli (proveniente da una famiglia di contadini). Alda era la secondogenita di tre figli, tra Anna ed Ezio.

La poetessa si descriveva come "una ragazza sensibile e dal carattere malinconico, piuttosto isolata e poco compresa dai suoi genitori ma molto brava ai corsi elementari... perché lo studio fu sempre una mia parte vitale".

LA SUA ESPERIENZA IN MANICOMIO
Il suo malessere inizia a farsi vivo con quelle che lei stessa definì "le prime ombre della sua mente" nel 1947 per cui viene internata per un mese all'ospedale psichiatrico di Villa Turno.
Ecco cosa ha scritto della sua esperienza in manicomio. 
Alda Merini. Scritto per OK; La salute prima di tutto nel maggio 2006:
"Quando venni ricoverata per la prima volta in manicomio, ero poco più di una bambina, avevo si due figlie e qualche esperienza alle spalle, ma il mio animo era rimasto semplice, pulito, in attesa che qualche cosa di bello si configurasse al mio orizzonte; del resto, ero poeta e trascorrevo il mio tempo tra le cure delle mie figlie e il dare ripetizione a qualche alunno, e molti ne avevo che venivano e rallegravano la mia casa con la loro presenza e le loro grida gioiose. Insomma, ero una sposa e una madre felice, anche se talvolta davo segni di stanchezza e mi si intorpidiva la mente. Provai a parlare di queste cose a mio marito, ma lui non fece cenno di comprenderle così il mio esaurimento si aggravò e, morendo mia madre, alla quale io tenevo sommamente, le cose andarono di male in peggio, tanto che un giorno, esasperata dall'immenso lavoro e dalla continua povertà e poi, chissà, in preda ai fiumi del male, diedi in escandescenze e mio marito non trovò di meglio che chiamare un'ambulanza, non prevedendo certo che mi avrebbero portata in manicomio.
Fu lì che credetti di impazzire.
Ma allora le leggi erano precise e stava di fatto che ancora nel 1965 la donna era soggetta all'uomo e che l'uomo poteva prendere delle decisioni per ciò che riguardava il suo avvenire.
Fui quindi internata a mia insaputa, e io nemmeno sapevo dell'esistenza degli ospedali psichiatrici perché non li avevo mai veduti, ma quando mi ci trovai nel mezzo credo che impazzii sul momento stesso: mi resi conto di essere entrata in un labirinto dal quale avrei fatto molta fatica a uscire.
Mi ribellai. E fu molto peggio.
La sera vennero abbassate le sbarre di protezione e si produsse un caos infernale. Dai miei visceri partì un urlo lancinante, una invocazione spasmodica diretta ai miei figli e mi misi a urlare e a calciare con tutta la forza che avevo dentro, con il risultato che fui legata e martellata di iniezioni calmanti.
Non era forse la mia una ribellione umana? Non chiedevo io di entrare nel mondo che mi apparteneva? Perché quella ribellione fu scambiata per un atto di insubordinazione? Un po' per l'effetto delle medicine e un po' per il grave shock che avevo subito, rimasi in stato di coma per tre giorni e avvertivo solo qualche voce, ma la paura era scomparsa e mi sentivo rassegnata alla morte.
Quella scarica senza anestesia.
Dopo qualche giorno, mio marito venne a prendermi, ma io non volli seguirlo. Avevo imparato a riconoscere in lui un nemico e poi ero così debole e confusa che a casa non avrei potuto fare nulla.
E quella dissero che era stata una mia seconda scelta, che pagai con dieci anni di coercitiva punizione. Il manicomio era sempre saturo di fortissimi odori. Molta gente addirittura orinava e defecava per terra. Dappertutto era i finimondo. Gente che si strappava i capelli, gente che si lacerava le vesti o che cantava sconce canzoni. Noi sole, io e la Z., sedevamo su di una pancaccia bassa, con le mani raccolte in grembo, gli occhi fissi e rassegnati e in cuore una folle paura di diventare come quelle là.
In quel manicomio esistevano gli orrori degli elettroshock. Ogni tanto ci assiepavano dentro una stanza e ci facevano quelle orribili fatture. Io le chiamavo fatture perché non servivano che ad abbruttire il nostro spirito e le nostre menti. La stanzetta degli elettroshock era una stanzetta quanto mai angusta e terribile; e più terribile ancora era l'anticamera, dove ci preparavano per il triste evento.
Ci facevano una premorfina, e poi ci davano del curaro, perché gli arti non prendessero ad agitarsi in modo sproporzionato durante la scarica elettrica. L'attesa era angosciosa. Molte piangevano. Qualcuna originava per terra.
Una volta arrivai a prendere la caposala per la gola, a nome di tutte le mie compagne. Il risultato fu che fui sottoposta all'elettroshock per prima, e senza anestesia preliminare, do modo che sentii ogni cosa. E ancora ne conservo l'atroce ricordo."

Poesia scritta da Alda Merini a Franco Basaglia

martedì 25 giugno 2019

ALTRE PRATICHE UTILIZZATE ALL'INTERNO DEI MANICOMI (BREVEMENTE)

SALASSI
I salassi erano dei prelievi considerevoli di sangue al fine di ridurre l'apporto di sangue nelle arterie del paziente. 
Essa avveniva così: il paziente, dopo essersi seduto su uno sgabello, prestava il braccio destro. Per dare stabilità all'arto, egli teneva saldamente in mano un lungo bastone fissato nel terreno; il chirurgo apriva una vena con un ago a forma di uncino, mentre con l'altra mano tendeva la pelle per facilitare il defluire del sangue.
Altre volte si preferiva incidere la vena della fronte, in questo caso si metteva il paziente in testa in giù con un fazzoletto stretto intorno al collo a mo' di laccio emostatico per far ingrossare le vene da aprire. Per questa pratica venivano impiegate anche le sanguisughe: dei parassiti che vivono in acque dolci, la cui bocca possiede lamine taglienti. Dopo essersi attaccate con le ventose alla pelle del paziente e aver praticato un'incisione, esse ne succhiavano il sangue.
Questa pratica portava ad una riduzione temporanea della pressione sanguigna riducendo il volume del sangue. Inizialmente questa pratica aveva anche conseguenze gravi perché il paziente poteva andare incontro alla morte a causa dell'elevatissima sottrazione di sangue.

DOCCE GELATE 
L'idroterapia era una pratica che serviva per calmare i pazienti e per modificarne i comportamenti. Inizialmente questa pratica veniva messa in atto come "punizione", successivamente servivano per trattare la psicosi maniaco-depressiva. L'acqua fredda diminuiva infatti le attività celebrali e fisiche del paziente. La temperatura oscillava tra gli 8°C e i 20°C.


SIMULAZIONI DI ANNEGAMENTO
Veniva chiamata "cura dell'acqua" e può essere considerata come una punizione qualora veniva messa in atto nel caso in cui il paziente non obbediva agli ordini.  Gli assistenti erano quindi "obbligati" a mettere un lenzuolo in testa alla persona, trascinarla a terra e tenerla ferma mentre un'altro le versava addosso una pentola d'acqua. Tale trattamento continuava finché il paziente non accettava di obbedire agli ordini.

DENUTRIZIONE
All'interno dei manicomi molte volte i malati mentali venivano lasciati senza cibo.











CAMICIE DI FORZA
La camicia di forza è un indumento di costrizione che stringe all'altezza del petto e delle ascelle, con le maniche bloccate in entrambe le estremità degli arti in modo da immobilizzare le braccia in posizione incrociata. Veniva usata in passato all'interno dei manicomi per costringere un paziente all'immobilità, se questo mostrava segni di sovreccitazione incontrollabile.
La camicia era usata durante il trattamento di disturbi mentali quali schizofrenia, depressione e disturbi d'ansia, per prevenire danni a oggetti e presone, ma anche per salvaguardare lo stesso malato.



mercoledì 12 giugno 2019

ELETTROSHOCK (TEC)

ELETTROSHOCK
L'elettroshock era un'altra delle pratiche utilizzate nei manicomi.
La terapia elettroconvulsiva (TEC), nota come elettroshock, è una tecnica terapeutica utilizzata in psichiatria e basata sull'induzione di convulsioni nel paziente mediante il passaggio di una corrente elettrica attraverso il cervello (precisamente nell'encefalo).
Al paziente vengono applicate due piastrine metalliche all'esterno dell'emisfero non dominante del cervello (il destro, nella maggior parte dei casi), attraverso cui viene fatta passare una corrente dell'intensità di circa 0.9 Ampere. La scossa dura circa 0.14 secondi, e la convulsione che ne segue va da 10 a 40 secondo.
La scossa elettrica, in pratica, riattivava di colpo i neurotrasmettitori, rialzando in particolare la noradrenalina, che nei depressi sarebbe estremamente carente.
Nella fase iniziale l'elettroshock è stato utilizzato, come molte altre pratiche, in maniera pericolosa e più per controllare i pazienti scomodi che per ragioni effettivamente terapeutiche.

Macchina TEC

lunedì 10 giugno 2019

LA LOBOTOMIA TRANS-ORBITALE

È  difficile oggi pensare che tutto quello che è successo all'interno dei manicomi sia accaduto veramente: le pratiche che venivano messe in atto al fine di "curare" il malato psichico erano delle vere e proprie violenze fisiche e psicologiche nei suoi confronti.
Il manicomio quindi è in realtà un luogo di disumanizzazione perché si si concentra appunto sul controllo violento della patologia.
Oggi vediamo di capire la LOBOTOMIA TRANS-ORBITALE.

LOBOTOMIA
La lobotomia era un intervento di psicochirurgia chiamato anche leucotomia.
Consisteva nel tagliare le connessioni della corteccia prefrontale dell'encefalo. poteva essere eseguita anche con l'asportazione o la distruzione diretta di essa. Le prime tecniche di questo tipo prevedevano l'apertura del cranio, ma questo rendeva la terapia economicamente irraggiungibile per molte fasce di popolazione, fu così che il dottor W. Freeman nel 1945 mise a punto una tecnica della lobotomia trans-orbitale.
Nella lobotomia trans-orbitale al soggetto veniva sollevata la palpebra superiore dell'occhio; il punteruolo veniva martellato affinché venisse rotto il sottile strato osseo sopra l'occhio, e inserito dunque nel cervello. A questo punto, con movimenti sicuri e decisi, si muovevano i punteruoli avanti, indietro e lateralmente, al fine di distaccare i lobi frontali dal talamo.
  La lobotomia era usata  per trattare una vasta gamma di malattie psichiatriche come la schizofrenia, la depressione, la psicosi maniaco-depressiva o i disturbi derivanti dall'ansia. Il risultato più scontato era il cambiamento radicale della personalità; inoltre i pazienti molte volte rimanevano in stato semi-vegetativo o mostravano problemi dal punto di vista pratico ma anche dal punto di vista linguistico.


        
Gli effetti immediati della lobotomia
 trans-orbitalepraticata sul piccolo 
Howard Dully all'età di 12 anni (1960)
 a cui lo psichiatra W.Freeman,
 aveva diagnosticato una
 schizofrenia infantile.
                



GLI STRUMENTI UTILIZZATI PER LA LOBOTOMIA



  • Orbitoclasto: è il punteruolo chirurgico, una sorta di rompighiaccio lungo 20cm e spesso 5mm che passava attraverso l'occhio
  • Martelletto
  • Trapano per la lobotomia.
Orbitoclasto e martelletto
Trapano per la lobotomia









giovedì 6 giugno 2019

1800/1900: LA NASCITA DEL MANICOMIO

Dopo aver spiegato come venivano considerati i malati psichici dall'antichità fino al 1700 arriviamo ora all'epoca dell'Ottocento e del Novecento.
 L'epoca in cui cominciarono a vedersi i primi cambiamenti nei termini di follia, infatti iniziarono in questo periodo i primi studi della follia che portarono alla considerazione di tale come una patologia della mente e del comportamento che solo attraverso le competenze mediche poteva essere diagnosticata e curata. Nasce da qui la necessita di creare una branca specialistica della medicina in grado di studiare, prevenire, diagnosticare e curare il disturbo psichico: la Psichiatria.
Alla nascita di questo vero e proprio "sapere" sui disturbi mentali si accompagnò anche la creazione di luoghi specifici per l'internamento delle persone che ne erano affette:i manicomi.

I MANICOMI
Manicomio: dal greco manía "pazzia", e koméo "curare". Sinonimo di Ospedale Psichiatrico,
Si trattava di un'istituzione che dietro l'apparente finalità terapeutica, rinchiudeva e segregava i malati mentali, separandoli dagli altri e affidandoli al controllo non più dell'autorità giudiziaria, ma della scienza. Il primo manicomio fu fondato dal medico francese P.Pinel nel 1793, liberando i folli dalle prigioni in base al principio che il malato di mente non può essere equiparato al delinquente. 
Essere classificati come malati di mente era un requisito necessario per essere ammessi in un ospedale psichiatrico. Il medico specializzato veniva chiamato solo dopo che l'individuo era stato etichettato come pazzo o il comportamento era diventato problematico a livello sociale. Il ricovero quasi sempre deciso da altri, è obbligatorio e spesso dura fino alla morte, in quanto non esistono soluzioni alternative. Il criterio per l'internamento non è la malattia mentale ma la pericolosità o "il pubblico scandalo" ed è quindi evidente che la funzione di questa istituzione è solo in minima parte di "cura". 
Inoltre, nei manicomi, non venivano rinchiusi soltanto persone affette da disturbi mentali ma anche disabili gravi e gravissimi, disadatti sociali, emarginati, alcolisti e omosessuali.



Nei prossimi post tratteremo di alcune pratiche che venivano messe in atto all'interno dei manicomi. Restate con noi! ☺️

domenica 2 giugno 2019

LA MALATTIA MENTALE NELLA STORIA

Nel corso della storia i malati mentali sono stati presi in giro, rinchiusi in carcere o addirittura uccisi
  •  NELL'ANTICHITÀ 
Si pensava che la follia fosse la manifestazione di una forza di origine divina penetrata nel corpo della persona colpita: "invasamento divino".
Al tempo dei Greci la malattia mentale veniva considerata come vendetta degli Dei, curabile solo grazie ai sacerdoti, questo si riconduce al fatto che molti malati andavano a passare la notte nei templi di Asclepio, il Dio della medicina, per ricevere l'intervento divino purificatore e guarire anche se in moltissimi casi venivano trovati morti all'interno del Tempio.
  • NEL MEDIOEVO
La follia veniva prima considerata come una possessione diabolica, successivamente il folle viene considerato colpevole e passibile di punizione, la follia viene dunque concepita come una colpa.
Il malato mentale inizia ad essere visto come un soggetto pericoloso e viene bruciato vivo nelle pubbliche piazze.
  • NEL SEICENTO E NEL SETTECENTO
I malati mentali vennero comparate ai vagabondi , ai delinquenti senza fissa dimora e ai mendicanti. Essi quindi erano ancora considerati una minaccia e un pericolo per la società, di conseguenza venivano reclusi in vere e proprie prigioni (che solitamente erano ex lazzaretti diventati inutili quando la peste bubbonica passò).
La follia viene dunque concepita come devianza.